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Fine anno, Melillo: "La restanza come profezia di speranza"

Con lo sguardo rivolto alla fine del 2025 e al nuovo anno ormai alle porte, il vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia, monsignor Sergio Melillo, affida alla comunità diocesana un messaggio denso di gratitudine, memoria e responsabilità. Un pensiero che nasce nella cornice del Giubileo e si intreccia con le parole antiche e sempre nuove del Te Deum, intonate nelle cattedrali e nelle parrocchie come segno di lode, nonostante le fatiche della storia.

Non un ringraziamento ingenuo o superficiale, sottolinea il presule, ma una lode “umile e tenace”, capace di attraversare il dolore per chi non c’è più e le incertezze del presente, riconoscendo la presenza di Dio anche nelle pieghe più difficili del cammino umano ed ecclesiale.

Al centro del messaggio emerge con forza il tema della restanza, intesa non come immobilismo o rassegnazione, ma come scelta consapevole e carica di futuro. Monsignor Melillo ringrazia per quegli uomini e quelle donne che continuano ad abitare i borghi, a coltivare la terra, a custodire relazioni e comunità. La loro fedeltà quotidiana diventa una vera e propria “preghiera vivente”, un segno concreto di amore per una terra che non è dimenticata da Dio.

Un pensiero particolare è rivolto ai giovani che decidono di investire i propri talenti nei luoghi d’origine, trasformando la nostalgia in creatività e la fragilità in possibilità. In loro, afferma il vescovo, il restare si fa profezia, capace di generare speranza anche controcorrente.

Il messaggio si inserisce poi nel solco del cammino sinodale vissuto nel corso dell’anno. La Chiesa, ricorda monsignor Melillo, non è un’istituzione distante, ma un popolo in cammino, che procede “a passo d’uomo”, sostando per ascoltare, condividere e rialzarsi insieme. I luoghi dell’ascolto, le parole condivise, le solitudini che lentamente diventano comunione sono segni di una Chiesa che non vuole lasciare indietro nessuno, soprattutto chi vive ai margini della società.

Il 2025 è stato anche l’anno segnato dalla morte di Papa Francesco. Un evento che ha lasciato un vuoto profondo, ma anche un’eredità spirituale luminosa. Monsignor Melillo ricorda il magistero di un Papa che ha insegnato a portare nel cuore l’intero mondo, a guardare agli ultimi con compassione e a credere in una Chiesa povera per i poveri, capace di parlare al cuore dell’umanità.

Con l’inizio del ministero petrino di Papa Leone XIV, la Chiesa è ora chiamata a custodire e rinnovare il cammino di unità e di pace. Una pace “disarmata e disarmante”, che nasce dal Vangelo e chiede il coraggio di disarmare prima di tutto i cuori, in un mondo segnato da guerre, disuguaglianze e povertà.

Guardando al 2026, il vescovo invita la diocesi a non avere paura del futuro. Il Giubileo, afferma, ha consegnato una “bisaccia di speranza” da tradurre in scelte concrete: la cura dei fragili, la custodia del creato, la trasmissione esigente e gioiosa della fede alle nuove generazioni.

Grande attenzione è riservata al mondo educativo, chiamato a formare menti, cuori e coscienze. Scuola, famiglie e comunità sono i luoghi in cui si seminano i valori capaci di generare futuro, perché non può esserci futuro senza educazione e responsabilità condivisa.

Non manca, infine, un appello diretto a chi ricopre ruoli sociali e politici: la vera leadership, ricorda monsignor Melillo, non si misura con il potere esercitato per sé, ma con la capacità di servire il bene comune, diventando costruttori di pace, giustizia e carità, soprattutto a favore dei più vulnerabili.

Il messaggio si chiude con un incoraggiamento alla Chiesa di Ariano Irpino-Lacedonia, chiamata a non sentirsi semplice custode del passato, ma protagonista di una storia di salvezza che continua. Come scrivere nuove pagine di speranza, non di rassegnazione, sulle soglie del nuovo anno: questo l’orizzonte indicato dal vescovo alla sua comunità.

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