La prima sensazione che si prova quando si entra nella Terra dei fuochi è che qualcosa ti stia per esplodere sotto i piedi.  Località Sanganiello, periferia di Caivano: qui c’è una vasta piana sottoposta a sequestro dalle Guardie forestali.  E’ l’area dei campi al veleno, adiacente a quella in cui sono stati scoperti i fusti tossici.  Anche qui si scaverà, dopo che l’Arpac avrà consegnato i risultati dei controlli effettuati.  Qualche cavolo avvelenato sopravvive ancora sui campi intossicati. Di fronte, terreni di un verde vivo rispetto ai colori morti di quelli sequestrati. Di fronte, si coltivano gli ortaggi della stagione. Quelli che prima o poi passeranno sulla tavola di qualcuno. L’ “odore” è misto: non si sa se proviene dalle colture o dai rifiuti che hanno imbottito la terra e si accompagna ad uno spaventoso  silenzio.  In quest’aerea non ci sono roghi che bruciano. I rifiuti non sono stati ancora “resuscitati”.  Ma questo scenario così silenzioso ingenera un’inquietudine maggiore: i veleni non si vedono ma ci sono. La superficie compromessa dai rifiuti tossici industriali a diretto contatto con la falda acquifera e con le radici degli ortaggi, secondo gli agenti della forestale, è di 200 mila metri quadri. E’ il Corpo forestale a portare avanti l’attività investigativa. La bonifica, per cui serviranno milioni di euro e circa 80 anni, spetta invece all’ente Regione. Ma per il Presidente Caldoro, terra dei fuochi e bonifiche sono due problematiche ben distinte. E mentre le istituzioni cercano i responsabili, c’è un intero popolo che i responsabili li ha già trovati e lotta ogni giorni per riscattare la propria terra. Il cancro non guarderà mai in faccia a nessuno, anche quando i riflettori su questo pezzo di Campania si spegneranno, perché funziona così: prima o poi si spegneranno.