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Economia

''Entro il 2030 la provincia di Avellino perderà il 13,9% della popolazione in età lavorativa''

La nota dell'associazione Avellino Prende Parte

giovani lavoro

Ventottomilacinquecentodieci persone in età lavorativa in meno entro il 2030. Parliamo di circa 1.140.400 ore di lavoro in meno da mettere a servizio delle grandi sfide epocali che sempre di più stanno coinvolgendo anche questa piccola provincia dell’appennino meridionale campionessa mondiale della strategia dello struzzo: “se non la vedo vuol dire che la crisi non sta succedendo davvero”.
Ci chiediamo con quali energie la classe dirigente di questa provincia – così come della Regione, del Mezzogiorno o del Paese – vogliano cogliere la sfida della riconversione ambientale ed energetica a cui siamo chiamati per impedire la catastrofe climatica. Con quale forza si potrà tutelare il bacino idrogeologico più importante del mezzogiorno? Quali saranno le braccia che porteranno avanti la trasformazione delle nostre città in smart cities, che tireranno su le nuove necessarie infrastrutture fisiche e digitale, quali i lavoratori e le lavoratrici che terranno in piedi i servizi per i sempre nuovi bisogni di una popolazione più anziana e segnata da forti disparità economiche? Su quali menti e su quali gambe si reggeranno le auspicabili nuove imprese delle aree ZES, i desiderabili nuovi piani industriali, il necessario sostegno per la nascita del polo della mobilità sostenibile?
Ci sembra che questo sia il problema principale della nostra terra, la precondizione da affrontare in maniera urgente con tutte le forze politiche, istituzionali e sociali e che sola potrà rendere possibile l’auspicabile cambiamento economico e sociale di cui, in ogni caso, ancora in pochi oggi discutono. 
Guardiamo i dati pubblicati sul Sole24Ore: entro il 2030 la provincia di Avellino perderà il 13,9% (- 8.953) della popolazione in età lavorativa tra il 15 e i 29 anni e il 9,9% (-19.717) nell’età tra i 30 e i 64 anni. Numeri impietosi che in assenza di una strategia di lungo periodo segnalano inequivocabilmente il nostro destino alla desertificazione, allo spopolamento, all'ingresso in un vortice di impoverimento dove - così come denunciavamo in un’altra riflessione sulla questione del lavoro nero – rimarranno solo in pochi a vivere in uno stato di agiatezza in un contesto di deprivazione economica e sociale, quelli che potremmo chiamare i nostri “galli sulla munnezza”.
Ad oggi crediamo vada aperto un grande dibattito pubblico tra le forze politiche, sociali, tra le imprese e le organizzazioni dei lavoratori, tra gli intellettuali della provincia e le istituzioni per costruire una strategia a lungo termine – che avvalendosi degli strumenti già esistenti PNNR, SNAI, programmazione Europea, politiche per la famiglia – possa porre un argine allo spopolamento e invertirne la tendenza. 
Cominciamo noi mettendo sul campo tre piani di lavoro imprescindibili  che si muovono sulle direttrici del fermare l’emigrazione, favorire la genitorialità e sostenere l’immigrazione. 
Prima di tutto il lavoro: serve un grande piano di sviluppo per l’Irpinia in grado di individuare i settori su cui questo territorio può valorizzare le sue competenze e la sua geografia. Il polo italiano per la mobilità sostenibile, il sostegno all’Agritech e alle produzioni biologiche; la valorizzazione del settore dell’informatica; la riconversione del settore della Concia. 
Definiamo insieme una strategia di sviluppo e creiamo – attraverso un’intelligente utilizzo dei fondi – le infrastrutture materiali e immateriali affinchè possa diventare realtà cominciando prima di tutto dal rafforzamento e  la valorizzazione di una filiera formativa terziaria (collegamenti universitari e ITS) all’altezza dei bisogni formativi del nostro territorio. Il tutto garantendo condizioni di lavoro dignitose: nessuno sconto al lavoro nero o al lavoro grigio, rafforzamento degli strumenti ispettivi sull’ambiente e le condizioni di lavoro, centri per la formazione permanente, sviluppo della partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici nella definizione delle scelte strategiche per il territorio. In questo modo potremmo convincere le persone a restare in Irpinia e lavorare qui investendo il loro capitale umano. 
Sarà poi necessario un grande investimento nei servizi sociali e sanitari. Non solo per garantire un servizio di cura all’avanguardia ad una popolazione sempre più anziana – generando anche qui lavoro qualificato e di qualità - ma soprattutto per garantire il diritto alla genitorialità. Bisogna portare il livello di offerta di copertura degli asili nido pubblici almeno al 30% dei nuovi nati (così come definito dagli accordi internazionali) e ridurne notevolmente le rette, sviluppare gli asili aziendali e sostenere le migliori esperienze di nido promosse dal terzo settore. Bisogna investire in infrastrutture per la genitorialità (parchi pubblici, playground, servizi) e un piano casa per i giovani, creando così una nuova cultura in grado di trasformare sia l’urbanistica della nostra città che le modalità di esercizio d’impresa agevolando e normalizzando la sempre più difficile scelta di tirar su una famiglia.
Siamo però consapevoli che tutto questo, che già è enorme rispetto a quanto visto negli ultimi anni, non basterà. Come ha recentemente proposto tra gli altri anche Roberto Saviano, il Sud non si salverà se non ci saranno almeno un milione di nuovi immigrati. Costruire oggi un sistema di accoglienza all’avanguardia in grado di ripopolare i nostri paesi e le nostre città non è solo un dovere di solidarietà per l’Irpinia, è la sua unica vera occasione di salvezza. 
Nel 2030 avremo bisogno di almeno 30.000 nuovi lavoratori e lavoratrici, che con il loro lavoro potranno sostenere il welfare e i nostri presidi scolastici, che potranno aiutarci a ricostruire uno sviluppo di questo territorio. Bisogna quindi che le amministrazioni comunali, con il supporto della prefettura, si attivino per entrare nei circuiti SAI ed accogliere almeno 3.000 persone ogni anno a cui aggiungerne almeno altre 1.000 attraverso bandi specifici e sportelli dedicati  a favorire il ritorno di chi in questi anni è andato via. 
Un’Irpinia che guarda al futuro dovrebbe da oggi costruire le infrastrutture per accogliere migliaia di persone convincendole a restare (in molti, infatti, vanno via appena possibile), finanziando i servizi per l’inclusione (corsi di italiano, tirocini, percorsi di sport popolare, piani per l’autonomia abitativa) e aprendo la propria vita pubblica alla loro cittadinanza sostenendo le riforme nazionali che vanno in questo senso. 
L’Irpinia per salvarsi deve essere desiderabile e ricettiva alle energie di tutto il mondo, alla loro voglia di costruirsi una vita migliore e contestualmente di aiutarci a coltivare un futuro per la nostra terra che senza di loro non avrebbe la forza di crescere ma solo, forse, le parole per essere immaginato.

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