"Se ne è andato anche Aristide Savignano. Era uno dei sette giovani intellettuali che sostennero e poi contestarono quello che sempre riconobbero come il loro maestro, Fiorentino Sullo. In pochi mesi abbiamo perso i protagonisti di una irripetibile stagione anzitutto intellettuale,e solo successivamente politica: Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, e ora ‘il professore’, come tutti chiamavamo Aristide, e pochi cattedratici meritavano questo titolo come lui. Dei sette fondatori di ‘cronache irpine- il giornale in cui si raccolsero negli anni cinquanta - il professore fu il solo a non scegliere la politica attiva. Scelse l’accademia, da cui trasse un’autonomia e una intransigenza che presto lo pose in conflitto con la politica militante, compresa quella dei suoi iniziali compagni di cordata.
Il solo incarico pubblico di Aristide Savignano fu la presidenza del consorzio Asi di Avellino, che lasció furiosamente - la sua vita pubblica sarà una serie infinita di dimissioni, al pari del maestro Fiorentino Sullo- nel 1977, con una lettera contro la ‘gestione privatistica del potere pubblico’, che è ancora attualissima e andrebbe riletta oggi come un manuale della buona politica che poteva essere e non è stata.Quella lettera segnó la rottura del professore con la Dc irpina. Mantenne un rapporto con Gerardo Bianco e con me,ma con la politica non si mescoló più. Fu poi vicepresidente del Banco di Napoli, e rettore dell’Università di Salerno, ma dopo il terremoto del 1980 si dimise anche da quell’incarico e trasferì la famiglia a Firenze,dove sfioró l’elezione a rettore di quel prestigioso ateneo.Il trasferimento a Firenze non fu una scelta professionale, ma una amara scelta esistenziale: il professore non credeva più nella possibilità di riscatto civile di una terra che amava disperatamente,ma di cui non condivideva le inclinazioni al clientelismo e al conformismo. Scelse l’esilio. Lo consiglió anche a me, fece di tutto per convincermi a studiare a Firenze, ma non lo ascoltai. Mia madre,amica della sua dolcissima Pia, era d’accordo con loro.Terminata - al massimo del prestigio- la carriera accademica, il professore si ritiró con la signora Pia nel dorato eremo di Castiglione della Pescaia,a fare l’agricoltore,come amava dire vezzosamente, in realtà a proseguire una elaborazione di pensiero che aveva prevenuto i grandi mali del sistema italiano: la crisi dei partiti come veicolo di partecipazione, le mancate riforme istituzionali.Letta così, sembra la biografia di un eroe romantico perdente. Ma vista l’Italia e l’Irpinia che ci ritroviamo, penso che al professore vada reso l’omaggio che si deve a un profeta inascoltato".
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